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— L'amico Maffio Maffii concludendo nell'ultimo Hermes un acuto esame di coscienza che intitola Senescit juventus, scrive: «Facciamo anche noi il nostro sforzo. Dipingiamo a sommo della nostra vela, come i naviganti dell'Adriatico, non un delfino, ma una immagine cristiana. Prima di partire, preghiamo nell'alba, col viso volto ad oriente. Poi salperemo. E se ci diranno romantici, tanto meglio perché allora questo vorrà dire che noi non saremo più vecchi.» Il Maffii dunque invoca, dopo l'intermezzo paneggiante, un ritorno al romanticismo e non è a dire quanto siamo d'accordo con lui. Uno di noi, anzi, impernierà sul contrasto fra lo spirito classico e lo spirito romantico, non solo la concezione della letteratura e dell'arte, ma del mondo intero. Già nel fascicolo di marzo abbiamo proclamato ben chiaro, rispondendo a Borgese, il nostro romanticismo e ci sembra che a molti degli articoli passati del Leonardo si possano applicare quei caratteri dell'opera giovanile o romantica che il Maffii indica giustamente con queste parole: «Una opera giovanile, sia essa di poesia o sia pure di critica, tanto un libro quanto una rivista, dovrebbe essere capricciosa, assurda, traboccante di febbre e d'orgoglio. Un'opera impossibile, insomma, fondata tutta quanta sopra sensazioni personali, precoci, frettolose e tormentose; un'opera appoggiantesi ora su fatti dimostrati, ora su immagini incoerenti e temerarie. Dovrebbe essere piena di malinconia e di delirio, di lunghezze eccessive e di slanci tumultuosi; ardita tanto da voler sfiorare il limite estremo di ciò che si può pensare ed intuire. La mancanza di equilibrio, di logica, di tolleranza e di coerenza dovrebbero essere i suoi caratteri più spiccati.»
Siamo troppo superbi dicendo che queste parole ci sembrano adattarsi quasi interamente a quello che abbiamo voluto fare del Leonardo.
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